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La morte dei centri commerciali

I luoghi dello shopping sono specchio e anima della nostra quotidianità. Rappresentano il modo con cui ci relazioniamo con le altre persone, con gli oggetti, con l’immagine che abbiamo di noi stessi.
Parlare di shopping significa parlare della nostra società. Disegnare i luoghi di aggregazione e del commercio significa disegnare gli spazi entro cui queste relazioni diventano possibili.
Re.d, divisione di M&T specializzata nel concepting e nel design di spazi commerciali e pubblici, intende proporre periodicamente dei temi di discussione che spingano alla riflessione sulle direzioni della società contemporanea e, all’interno di essa, sull’evoluzione dei luoghi del commercio e della socialità.

Il tema che vorremmo proporre qui è quello della morte dei centri commerciali, ossia del precoce invecchiamento di quelle strutture – di solito a forma di “scatoloni” – che, atterrate sul territorio, deturpano il paesaggio, rendono la viabilità della zona un incubo e, almeno sino a un po’ di tempo fa, rappresentavano lo standard socialmente accettabile di destinazione del tempo libero e delle risorse finanziarie di giovani e anziani.

I centri commerciali di mezza Europa stanno morendo. Diminuiscono il numero delle presenze e i fatturati, e si accorcia il ciclo di vita. Un centro commerciale mediamente oggi diventa vecchio dopo pochi di anni dall’apertura o nasce già con difficoltà.

Si impone la necessità di capire le cause di questa tendenza e comprendere verso quale evoluzione questo format si sta spostando.

  1. sicuramente la saturazione del territorio, e la sovrapposizione dei centri commerciali sullo stesso bacino di utenza, rende più difficile sostenere la competizione
  2. le offerte dei cc sono sempre più uguali tra loro e comunque poco innovative. I brand rappresentati sono gli stessi – poche le novità – e non sono diversi da ciò che offrono anche un centro cittadino o un aeroporto
  3. la sovrapposizione territoriale e la mancanza di differenziazione fanno sì che la frequentazione sia ormai basata sul vicinato più che sulla capacità di attrazione. Questo fatto riduce i margini economici ma cambia anche profondamente le esigenze riguardanti il mix di offerta e la capacità di soluzione. Viene inoltre ridefinita la dimensione ottimale del centro commerciale
  4. ultimo elemento: lo shopping, a causa della crisi economica, è sempre meno un motivo di attrazione per le persone che, anzi, si stanno muovendo verso una maggiore pianificazione e sostenibilità degli acquisti e rifuggono l’impulso. In sostanza sempre più raramente lo shopping è pura occasione di intrattenimento e aggregazione e sempre più funzionalità. Si evidenzia una contraddizione difficilmente risolvibile: da un lato solo operatori commerciali riescono a sostenere i costi di affitto di un cc ma questi fanno sempre più fatica a funzionare da “locomotive”, dall’altro lato le offerte non o meno commerciali (ad esempio quelle legate alla socialità e all’intrattenimento) non riescono a produrre sufficiente reddito e a creare circoli virtuosi consistenti per le attività commerciali.

Insomma, il format del centro commerciale sembra essere completamente da ridisegnare.

Quali sono attualmente i modi con cui i gestori e gli sviluppatori stanno cercando di rispondere alla crisi?

  • Unire lo shopping con l’entertainment
  • Potenziare la parte di food hall
  • Tematizzare i centri commerciali

Nessuna di queste strade sembrano risolvere il problema alla radice, poiché non costituiscono una vera innovazione di format, ma al contrario lavorano sul maquillage dell’esistente. La realtà è che se l’offerta di shopping non è più efficace come traino delle visite, occorre trovare la soluzione che non può che essere strategica.
La radice del problema sembra essere infatti un’altra. I centri commerciali hanno dovuto la loro fortuna alla capacità di offrire luoghi di aggregazione, di passatempo, di relazionalità alle persone, in aggiunta alla possibilità di soluzioni a problemi quotidiani (quali ad esempio la spesa quotidiana). L’offerta che vi si sviluppava era realmente innovativa rispetto alla realtà commerciale dell’epoca. Le grandi dimensioni, la componente ludica la novità costituiva un’esperienza che non aveva similari nei centri cittadini. La visita ai centri commerciali era motivata dal desiderio di usufruire di un’esperienza nuova e contemporaneamente funzionale, anche se completamente artificiale (questo ultimo tratto era anch’esso parte dell’esperienza). Tale caratteristica di artificialità era dovuta al fatto che sia la localizzazione (luoghi sorti improvvisamente, in contesti non urbanizzati, e definiti architettonicamente da scatoloni senza connotazioni) sia la dimensione temporale (artificialità del clima e mancanza di legame con l’orologio naturale) esulava dalle esperienze reali e quotidiane (la piazza o la via cittadina, lo scandire del tempo atmosferico, della luminosità solare, dell’orario di apertura e chiusura dei negozi). I non-luoghi, così definiti, sono entrati pienamente nella nostra quotidianità e se, come alcuni hanno ribattezzato i centri commerciali, ora li definiamo super-luoghi è solo a motivo di un’imponenza (di dimensionale, di aggressività negli stimoli, di manipolazione artificiale dei comportamenti di chi li visita) che poco a che fare con la positività.
Sono strutture che fagocitano i visitatori, seducendoli talvolta, più spesso costituendo un contenitore organizzato di relazioni, desideri, attività, percorsi.

Ad oggi è arduo individuare una strada di uscita alla crisi del format. Tuttavia è possibile individuare delle tendenze che possono aiutare a delineare (anche se in modo sfocato) una possibile prospettiva.

  1. recupero della dimensione umana nel progetto architettonico, verso il centro cittadino e oltre. Non si tratta semplicemente di uscire dalla classica struttura di “scatoloni” o di lavorare sulla tematizzazione. L’esperienza di maggiore attrattività in questi tempi è la naturalità e il non–stress. Non è un caso che i cc più interessanti oggi si sviluppano su piazze, in continuità con spazi aperti e chiusi, che riscoprano le logiche della viabilità pedonale dei centri cittadini, senza forzature nell’induzione delle percorrenze. Il recupero del tempo biologico e stagionale, mitigato da spazi protetti, si associa ad una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale che però non è un “mascherare” la struttura ,ma nell’integrarla con il paesaggio e la natura circostante. Qualità dell’ambiente, sostenibilità, dimensione profondamente umana, sono quindi le parole chiave
  2. l’accento dovrà continuare a essere lo shopping, e non può essere diversamente per la salvaguardia dei margini e del rispetto delle dimensioni minime. Quello che cambierà sarà il significato dello shopping stesso. Con l’attuale crisi economica, il consumismo ha subito un duro colpo: impossibile per i consumatori non chiedersi se quell’oggetto di cui si sta valutando l’acquisto sia indispensabile o semplicemente utile, ancorché di prezzo conveniente. La valutazione dell’utilità – intesa come creazione di valore o di soluzione per l’individuo – sarà elemento sempre presente nella testa dei consumatori, magari declinata in modi diversi rispetto all’attuale. Elemento tipico in questa fase economica post-capitalista è che quello che era a pagamento nelle epoche passate ora è gratis, e quello che era gratis ora trova chi è disponibile a pagarlo. Lo shopping come elemento di esperienza, di confronto, di relazione e non più solo come possesso… Ovvia conseguenza è che, probabilmente, i margini commerciali per gli operatori saranno diversi dal passato (quasi certamente minori) e che sempre con grande probabilità si assisterà ad un cambiamento nelle attuali consuetudini di gestione e proprietà dei cc
  3. il valore dell’insieme sarà strettamente correlato al valore del singolo (offerta commerciale) e l’esperienza di visita del cc si costruirà sulla base del valore di ogni dettaglio. Bando ad ogni banalizzazione e standardizzazione. Nell’offerta dei futuri cc, per necessità dimensionali, inevitabilmente massificata e poco targhettizzabile su cluster di consumatori, ogni esercizio commerciale deve essere valutato per le sue caratteristiche di valore e di innovazione. La distribuzione moderna è in effetti abbastanza matura per fare un salto di qualità. Sufficiente almeno per elaborare format diversi della stessa insegna per il presidio di location e situazioni specifiche.
  4. Per ultimo: se lo shopping allo stato “puro” è sempre meno attrattivo, occorre andare là dove esistono altri motivi di aggregazione e interesse. Non che lo shopping non possa sviluppare interesse, ma certo che la sua capacità di essere l’unico magnete va ad esaurirsi. Altre sembrano essere le priorità della società oggi. Fatta di individui fondamentalmente sempre più soli, mobili e inadeguati alla velocità dei tempi, apre le braccia alle occasioni che costruiscono relazioni, che disegnano nel territorio dei percorsi reali che possono essere fatti propri per essere immediatamente cambiati. Una rete di relazioni che è connettività rispetto allo spazio e al tempo a cui si appartiene. La metafora del viaggio, con i nodi della mobilità (fisica: le stazioni, gli aeroporti; virtuali: il web e le community) a disegnare dei passaggi obbligati. Sicuramente il travel retail non sarà più una opportunità commerciale, ma detterà le logiche strategiche del retail stesso: momento di passaggio da un posto ad un altro, definizione di una piazza dove – momentaneamente - sostare, multifunzionalità che abbina la possibilità di accedere a soluzioni differenti tuttavia in modo veloce e superficiale. Per comprendere gli spazi del commercio del domani occorre focalizzarsi sul territorio dell’uomo del futuro.

Per maggiori informazioni: segreteria@marketingtrade.it

A cura di Re.d – Marketing & Trade